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Note a margine de La fondazione.

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La fondazione

Qual è il senso di una formazione? Come si compie un’eredità?
Oltre che attraverso un cammino lineare maestro-allievo, in un periodo in cui i maestri mancano e forse anche gli allievi latitano, la trasmissione del sapere si propone per osmosi, attraverso un filtro derivato dall’esperienza. Ancora una volta, la cultura produce cultura, in cumuli e nicchie visibili solo a chi (scientemente, vista la drammatica situazione a ogni livello della cultura italiana) se ne espone; là dove esiste un modo originale di proporla, la cultura, un modo che procede mediando la scintilla creativa e lo studio, ecco che i percorsi personali subiscono una flessione, una modificazione del loro andare, a volte anche – semplicemente – un benefico e forse salvifico rallentamento.
Raffaello Baldini, poeta di Santarcangelo di Romagna, nel testo affidato appena prima di morire a Ivano Marescotti – e che questi ha consegnato a sua volta a Valerio Binasco, eccellente attore e regista, perché gli facesse da direzione: perché quel testo, come solo un regista capace può fare, lo annusasse e l’ascoltasse e gli desse l’aria che chiedeva – riesce a disvelare una leggerezza del pieno che commuove al riso e al dolore. Non al pianto, perché il pianto in sé è già sfogo, momento in cui la frattura si rivela, momento in cui dal momento della nascita riusciamo a dare al dolore o all’esigenza un fondo corporeo, un climax; ma il dolore invece riverbera e non muore, si fa universale, si fa tormento di un errante che non ha che la propria lampada – la lampada di un dolore mostrato, non nascosto, usato quasi come unica via di salvezza – per cercare suoi simili e in essi cercarsi.
Il protagonista de La fondazione, personaggio senza nome, riempie i suoi vuoti tramite accumuli. Accumuli continui, non in scena ma visibili, accumuli che addirittura lo spingono sulla parte destra del divano – come si vede nella foto – quasi a dire che lui stesso, compresso tra quel vuoto, viene spinto e messo da parte: e gli va pure bene. Accumuli di parole, parole di un romagnolo sporco e febbrile nell’interpretazione potente, estremamente angolosa e respirante nel contempo di Ivano Marescotti, che a tratti ci ricorda un clown insieme bianco e Toni, moralizzatore e sporcaccione, allampanato e metodico nella sua volontà di non buttare mai, buttar niente, anzi: creare una fondazione del suo inutile. Accumuli di roba, mai così distante dalla roba di Mazzarò: là dove Mazzarò rispondeva alla povertà con l’accumulo, qui il nostro Senza Nome crea la sua povertà accumulando cose che non sono più, non verranno fatte più, elenca spagnolette, tappi di bottiglia, scatoline, fiaschi di vino, cumuli che non sono in scena eppure ci sono, sono lì – come a dire: io li vedo, io. Non li vedete voi i vostri, di cumuli?
La leggerezza di Baldini nell’interpretazione agra e delicata di Marescotti insiste nel ridere, su questa disposofobia, e stridere sul nulla. Gli applausi a scena aperta a metà spettacolo – cosa che non vedevo dai tempi del teatro popolare, e che qui ci stanno perché la Fondazione lo è, teatro popolare, ma in un modo intimamente sui generis - costringono Marescotti a tirare il fiato, guardarsi intorno spaurito, come se ci fossero mosche o parole a ronzargli intorno, e poi passare dal comico al tragico in un nulla. Come accade a noi, in fondo: quante risate dopo un funerale, e quanto dolore dopo una notte d’amore, quanta paura nel sonno con l’amata? In scena la morte diventa così un motivo per lamentarsi di un costo accessorio; le necessità di disvelare ai nostri occhi la roba motivi per camminarvi in mezzo, schivarla, scavalcarla, quasi dare un senso scenico a quel vuoto su cui quella stessa roba s’installa; la mancanza della moglie, dei figli che saranno pronti a sbarazzarsi di un pieno creando così un cratere, diventano invece il momento in cui il protagonista, letteralmente, tira i remi in barca (questo il suo alzare i piedi sul divano per allontanarsi dal mare magnum della roba) e, a modo suo, muore.
Ditelo, dopo uno spettacolo così, che la roba non ha vita. Ditelo ancora. Questa si chiama educazione, fine educazione in dialetto romagnolo.

La Fondazione
di Raffaello Baldini – con Ivano Marescotti – regia di Valerio Binasco – scene di Carlo De Marino - luci di Vincenzo Bonaffini – costumi di Elena Dal Pozzo – suono di Giampiero Berti – produzione Nuova Scena.

Visto in data 4 aprile 2013 al Teatro Diego Fabbri di Forlì – in cartellone fino al 7 aprile 2013.


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